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L'economia con Amalia
18.03.22 - 15:570

Amalia Mirante: "Il prezzo di questa guerra non deve ricadere sui cittadini"

"Non sappiamo quali saranno le decisioni del Governo. Ma dovrà chinarsi sull’impoverimento diretto che toccherà i nostri cittadini e le nostre aziende"

di Amalia Mirante *

Questa settimana la nostra sintesi dell'Economia con Amalia inizierà dando uno sguardo ai dati macroeconomici più importanti pubblicati di recente. Il quarto trimestre del 2021 ha confermato dati discreti per l'Eurozona e per l'Unione Europea (ricordiamo che i paesi membri dell'Unione Europea sono 27, ma non tutti usano l'euro come moneta nazionale. Per i 19 Paesi che lo utilizzano si parla di Eurozona).

Se il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell'Eurozona è aumentato del 4.6% su base annua, è invece cresciuto solo dello 0.3% rispetto al trimestre precedente mostrando un netto rallentamento (+2.2% in precedenza). Più o meno stessa sorte che è toccata ai dati dell'Unione Europea (+4.8% annuale e +0.4% trimestrale). Anche in termini occupazionali, il dato del 2021 ha mostrato una crescita piuttosto contenuta: +1.1% per la zona Euro e +1.2% per l'Unione Europea.

Queste cifre confermano che già prima dello scoppio della guerra, si stava vivendo un certo rallentamento della crescita economica. Queste tensioni erano già in atto anche per i prezzi. In effetti, i dati dell'indice dei prezzi al consumo (IPC) e dei prezzi alla produzione (IPP) hanno mostrato incrementi annuali considerevoli già nei mesi precedenti al conflitto per Spagna (IPC febbraio +7.6%), Gran Bretagna (IPP gennaio +2.3%), Italia (IPP gennaio +9.7%), Germania (IPC febbraio +5.1%) e Stati Uniti (IPC febbraio +7.9%). In questo ultimo caso segnaliamo che non si registrava una aumento così alto dei prezzi da 40 anni a questa parte. In aggiunta, evidenziamo che purtroppo i dati mostrano un'accelerazione rispetto ai mesi precedenti, a conferma che le tensioni sui prezzi erano già molto forti. E drammatiche potrebbero essere le conseguenze da qui a qualche mese soprattutto per le fasce più deboli della società se non si interviene calmierando questi effetti negativi.  

Già ora si vedono le conseguenze sul nostro carrello della spesa. Anche se alcune decisioni devono essere contestualizzate, come per esempio la decisione degli Stati Uniti di interrompere le importazioni di petrolio dalla Russia.

Seppur i dati possono leggermente divergere in base alle statistiche consultate (noi ci riferiremo a UN Trade Statistics) emerge chiaramente che gli Stati Uniti dipendono molto poco dalla Russia per questa materia prima. In effetti, nel 2020 solo l’1,3% delle esportazioni russe (meno di 1 miliardo di dollari – ca. 930 milioni di franchi) sono volate oltre Oceano. In aggiunta pare anche che il presidente Joe Biden abbia preventivamente contattato il suo omologo venezuelano Nicolás Maduro chiedendogli di aumentare gli scambi così da compensare la perdita. Ci sono due ostacoli a questo nuovo accordo. Primo gli Stati Uniti dovranno togliere le sanzioni che impongono al Venezuela, dimostrando che anche le restrizioni non sfuggono all’opportunismo. Il messaggio che trasmettono è una cosa dello stile “ti sanziono fino a quando mi è utile e ti perdono quando ho bisogno del tuo petrolio”. Ma oltre al problema etico, ne esiste uno più concreto: gli impianti venezuelani necessitano di ingenti investimenti per aumentare la loro produzione. E non ci sono grandi interessi a farlo. Questo vale anche per gli impianti statunitensi dove i principali produttori non hanno intenzione di aumentarne la dimensione e l’efficienza data anche l’intenzione del paese di andare verso la transizione ecologica. 

Un impatto sicuramente differente lo avrebbe la decisione dei paesi europei di interrompere il commercio con la Russia. In Europa nel 2020 il 13% degli scambi è avvenuto con i Paesi Bassi (circa 9.5 miliardi $ - 8.9 miliardi CHF), il 9% con la Germania (oltre 6 miliardi – 5.6 miliardi CHF), seguono Polonia (oltre 4 miliardi $ - 3.7 miliardi CHF) e Italia (3.7 miliardi $ - 3.5 miliardi CHF). Si stima che se tutti i paesi europei e gli Stati Uniti interrompessero questi scambi la Russia si troverebbe con la metà delle sue esportazioni azzerate. Ai prezzi attuali si parla di oltre 100 miliardi di dollari. Attenzione però a sottovalutare la fame di energia del resto del mondo. Già attualmente la Cina compera quasi un terzo del petrolio russo, percentuale questa destinata ad aumentare velocemente e vertiginosamente nelle prossime settimane. 

E attenzione dobbiamo riservarla anche alle fasce più deboli della nostra popolazione. Il prezzo di questa guerra non deve ricadere sui cittadini che sono confrontati con aumenti dei prezzi che potrebbero da qui a qualche settimana mettere enormemente in difficoltà le famiglie e anche le aziende. Il grido d’allarme è stato lanciato, speriamo che anche la politica svizzera lo colga per tempo. Solo guardano a quanto sta accedendo al prezzo della benzina, la preoccupazione è grande. Ma anche in questo caso, le differenze possono essere notevoli.

Per esempio anche se scopriamo che pure negli Stati Uniti c’è stato un aumento considerevole del prezzo della benzina, lo stesso rimane notevolmente più basso. Mediamente il prezzo della benzina settimana scorsa negli Stati Uniti è stato di 4.10 $ al gallone, che equivalgono a circa 1.02 franchi al litro. La differenza è sorprendente: in Ticino al momento in cui scriviamo il prezzo ha raggiunto i 2,27 franchi al litro.

Prima di trarre considerazioni affrettate bisogna però considerare che proprio perché gli Stati Uniti sono i primi produttori al mondo di petrolio, il prezzo della benzina è storicamente molto più basso. Detto questo anche negli Stati Uniti i cittadini non sono contenti di questi aumenti repentini.

Tornando alla Svizzera, a gran voce si chiede alla Confederazione di togliere momentaneamente le imposte che sono applicate sui carburanti. Oltre all’imposta prelevata sugli oli minerali, quindi sul petrolio, sugli altri oli minerali, sui gas di petrolio e sui prodotti ottenuti alla loro lavorazione, tra cui anche i carburanti, in Svizzera si preleva un supplemento di imposta sui carburanti. Segnaliamo che la Confederazione nel 2020 ha incassato con queste tasse quasi 4.2 miliardi di franchi che rappresentano quasi il 6% delle entrate totali della Confederazione. Andando a guardare nelle nostre tasche, l’imposta sulla benzina senza piombo è di 76.82 centesimi al litro, mentre quella sul diesel di 79.57. A questo costo dobbiamo aggiungere il 7.7% di IVA che paghiamo ogni volta che facciamo il pieno. Non sappiamo quali saranno le decisioni del Governo. È certo che nelle prossime settimane dovranno chinarsi sull’impoverimento diretto che toccherà i nostri cittadini e le nostre aziende. Proprio qualche giorno fa non per niente ha già deciso di abbassare i dazi doganali su molti cereali da foraggio per nutrire gli animali. La catena della creazione di valore è lunga, e ogni aumento di costo si ripercuote sulle nostre tasche. 
E ancora di Due settimane di guerra abbiamo parlato nel nostro articolo settimanale in cui abbiamo approfondito le sanzioni decise nei confronti della Russia e i tentativi di quest'ultima di contrastarle.

* economista 

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