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L'economia con Amalia
24.02.22 - 09:030

Amalia Mirante: lavoro, il fenomeno delle dimissioni volontarie

L'economista parla questa settimana dell'incertezza che regna a livello mondiale, del mercato dell'auto e...

di Amalia Mirante *

Apriamo la nostra sintesi settimanale dell'Economia con Amalia dando un'occhiata a ciò che succede a livello internazionale. L'incertezza sulle tensioni geopolitiche tra Russia e Stati Uniti si aggiunge a quella legata alle scelte di politica monetaria da parte delle Banche Centrali sempre più sotto pressione a causa dell'inflazione. In realtà, in questo momento i dati paiono dare delle indicazioni un po' contrastanti e questo rende ancora più difficile per gli economisti fare delle previsioni affidabili. Ricordiamo sempre il grande economista John Kenneth Galbraith che scriveva che "La sola funzione delle previsioni in campo economico è quella di rendere persino l'astrologia un po' più rispettabile" (non me ne vogliano i colleghi economisti e neppure gli astrologi).

Ma torniamo ai dati. Se è vero che in Cina sia l'indice dei prezzi al consumo che l'indice dei prezzi alla produzione sono aumentati (+0.9% e +9.1% rispetto all'anno prima) è anche vero che gli aumenti sembrano rallentare di mese in mese. Lo stesso è successo in Spagna dove l'inflazione è aumentata del 6% su base annua rispetto al +6.5% del mese precedente. Al contrario non sono stati registrati questi segnali positivi dalla Gran Bretagna (+5.5%) di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, dal Canada (+5.1%) e dagli Stati Uniti (+7.5%). Le cause principali rimangono sempre le stesse: aumento dei prezzi dei prodotti energetici, scarsità di materie prime e ritardi negli approvvigionamenti di alcuni beni.

E mentre noi ci preoccupiamo dell'inflazione, c'è chi da decenni attende con trepidazione un aumento dei prezzi che significherebbe ripresa economica. Parliamo del Giappone, la cui inflazione nel mese di gennaio è aumentata dello 0.5%. Il Giappone è la terza economia al mondo. Non abbiamo il tempo qui di approfondire (lo faremo in un articolo nelle prossime settimane), ma possiamo citarne alcune caratteristiche. È dagli anni Novanta che questo Paese vive una crisi economica con bassi tassi di crescita del PIL. Le cause sono molte, prima tra tutte lo scoppio della bolla immobiliare nel 1991 che ha innescato l'aumento dei tassi di interesse, il crollo della domanda interna, molti fallimenti, la disoccupazione, l'instabilità della moneta e l'aumento del debito pubblico. Insomma, il classico circolo vizioso. È da allora che il Giappone fatica a uscire da questa situazione anche a causa della bassa propensione dei giapponesi a consumare e a fare acquisti.
 
Acquisti che non sono ancora tornati a livelli pre-pandemici, almeno non per le automobili. Il mercato automobilistico è stato uno tra i settori maggiormente toccati dalla crisi, anche se già nel 2019 con circa 92 milioni di veicoli costruiti (vetture, mezzi pesanti e autobus) si era verificata una riduzione del 5% rispetto all'anno precedente (il record produttivo è stato nel 2017 con 96 milioni). Il dato del 2020, 78 milioni, ha segnato un crollo imponente del 14%. I risultati definitivi del 2021 non sono ancora noti, ma l'aumento previsto non sarebbe tale da riportare il mercato ai livelli pre-Covid. In termini geografici l'Asia produce circa il 60% dei veicoli, l'Europa il 22% e gli Stati Uniti il 20%. Buone notizie giungono sul fronte ambientale. La vendita di automobili elettriche nel 2020 è raddoppiata. Tuttavia, esse rappresentano solo il 10% delle vendite totali. E proprio di questo settore e in particolare della produzione dei semiconduttori (microchip) ha parlato qualche settimana fa la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, annunciando che l'Europa ambisce a diventare leader mondiale portando la sua quota di produzione attuale entro il 2030 dal 9% al 20%. (per inciso la nostra piena solidarietà alla Presidente von der Leyen a cui il ministro degli Esteri ugandese non ha stretto la mano). Il settore dei microchip oggi è uno dei settori più rilevanti dal punto di vista strategico.

La pandemia ha mostrato tutta la nostra vulnerabilità e dipendenza dall'Asia che di fatto, a causa dei ritardi nelle catene di approvvigionamento, mette a rischio la crescita economica europea perché i cittadini non possono comperare i beni che vorrebbero e quindi non alimentano la domanda. Domanda che torna a crescere anche in Svizzera dove nel mese di gennaio sono state immatricolate quasi 16 mila automobili, di cui 7'500 tra ibride ed elettriche. Interessante notare che queste ultime sono raddoppiate rispetto al mese precedente. In aggiunta, per gli amanti delle due ruote, segnaliamo 1'400 nuovi veicoli immatricolati. 

   
E chiudiamo parlando di lavoro. Abbiamo affrontato diverse volte il tema dell'aumento delle dimissioni volontarie scoppiato negli Stati Uniti subito dopo la pandemia (Great Resignation). Ad oggi i dati ufficiali stimano che mediamente dal mese di luglio del 2021 oltre 4 milioni di americani al mese (il 3% della forza lavoro totale) abbandoni il posto di lavoro. Se all'inizio il fenomeno sembrava riguardare solo alcune professioni con salari bassi e condizioni di lavoro più dure, come la ristorazione, il commercio al dettaglio o il settore manifatturiero, oggi pare che tocchi tutti. Dirigenti di grandi banche, manager di importanti imprese, professionisti ultra qualificati si dimettono.

Ma non finisci qui. Alcune indagini evidenziano che oltre il 40% delle persone prevede di cercare un nuovo lavoro nei primi sei mesi dell'anno, percentuale in crescita rispetto al semestre precedente. E anche i dati effettivi mostrerebbero che sempre più persone interrompono i nuovi lavori dopo meno di un mese.

Questo fenomeno non si è fermato negli Stati Uniti e riguarda tutte le economie avanzate. I dati recentemente pubblicati in Italia parlano di oltre 1 milione di persone che hanno lasciato volontariamente il lavoro nei primi nove mesi del 2021 con un aumento di oltre il 23% tra aprile e novembre. Si parla  di "YOLO economy" che sta per "You only live once - Si vive una volta sola ". Questa nuova filosofia sembra oggi abbracciare sempre più persone che confrontate con le conseguenze dell'inattesa ondata pandemica hanno rivisto le priorità della loro vita. Segnali in questo senso però ci arrivavano ben prima dello scoppio del Coronavirus. In effetti, le nuove generazioni come la famosa generazione Z - Zoomers (giovani nati tra il 1997 e il 2012), paiono avere un rapporto differente con il mondo del lavoro in cui non vedono più l'unico fattore di crescita e soddisfazione personale, anzi. Il lavoro diventa strumentale alla realizzazione dell'individuo che in realtà trova nel suo sviluppo personale e nelle sue passioni l'essenza della sua esistenza. Insomma, il lavoro diventa solo uno strumento per soddisfare i propri bisogni e deve essere considerato tale.     

E proprio in questa direzione sembrano andare le recenti innovazioni e riorganizzazioni nel mondo del lavoro. Parliamo per esempio della decisione di questa settimana del Belgio di consentire di ridurre la settimana lavorativa da 5 a 4 giorni. Il concetto di lavoro e di tempo di lavoro è mutato molto nell'ultimo secolo e mezzo. Le ore settimanali si sono ridotte notevolmente. Anche gli studi sembrano oggi confermare che a differenza di quanto credevamo fino a qualche anno fa non è vero che lavorando di più produciamo di più, anzi. Trovate questo e tante altre curiosità nel nostro articolo "Lavorare 4 giorni alla settimana?"

* economista

 

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