di Amalia Mirante *
Apriamo L'Economia con Amalia di questa settimana dando uno sguardo al contesto macroeconomico internazionale. Purtroppo i dati pubblicati non danno segnali che l’inflazione si stia attenuando. Anzi. Gli aumenti annuali dei prezzi negli Stati Uniti (8.3%), in Germania (7.4%), in Spagna (8.3%) e in Francia (4.8%) sono stati vertiginosi anche in aprile. E pure i prezzi dei beni appena usciti dalle industrie non danno segnali di rallentamento, con quelli cinesi cresciuti dell’8% e quelli statunitensi del ben 11%. Di certo questo dato ha influito in maniera negativa sulla fiducia dei consumatori che crolla anche nel mese di maggio. E chissà quali potranno essere le conseguenze sul mondo del lavoro: già nell’ultima settimana negli Stati Uniti 203.000 persone si sono annunciate presso gli uffici della disoccupazione quando gli esperti ne prevedevano “solo” 195.000. E anche in Gran Bretagna le stime vanno meno bene di quanto previsto. Il prodotto interno lordo (PIL) nel primo trimestre è aumentato dello 0.8% mentre gli analisti si aspettavano una crescita dell’1% (quella del trimestre precedente era stata dell'1.3%). La cosa non sarebbe così grave se accanto a questo dato non fossero stati pubblicati anche quelli negativi rispetto alle previsioni della produzione industriale e del deficit della bilancia commerciale del II trimestre. Che la Gran Bretagna importi più di quanto esporti non è certo una novità; a differenza della Svizzera la sua bilancia commerciale è tendenzialmente negativa. In questo caso a preoccupare è il fatto che ci si attendeva comunque un aumento delle vendite verso l'estero. E chi invece ha appena annunciato la sua intenzione di interrompere immediatamente le esportazioni di grano è l'India. Date le difficoltà mondiali di approvvigionamento di questo genere alimentare di prima necessità, l'impennata del suo prezzo e anche un forte aumento delle temperature in marzo che potrebbero averne minacciato in parte il raccolto, il governo indiano ha annunciato che a tutela della sua popolazione interromperà le vendite verso l'estero. Così aveva fatto qualche settimana fa l'Indonesia con l'olio di palma. Alcuni iniziano a parlare preoccupati di ritorno al protezionismo; per altri, come noi, oggi si manifestano tutti i limiti di una globalizzazione, delocalizzazione e specializzazione produttiva troppo eccessive.
Ed eccessiva forse è stata la fretta di Elon Musk di mettere le mani sul social Twitter. Già l'annuncio del suo acquisto aveva messo in agitazione i mercati e il personale dell'azienda. Negli ultimi giorni le notizie che si sono susseguite non hanno fatto altro che creare ulteriori malumori e preoccupazioni. Ripercorriamo al volo i fatti. Musk, subito dopo l'annuncio di aver comperato una fetta rilevante del pacchetto azionario del social (il 9.2%), stupisce tutti dicendo che non era sua intenzione entrare nel consiglio di amministrazione. Pochi giorni dopo dichiara invece che comprerà tutta la società. I responsabili di Twitter cedono alle lusinghe del miliardario in poche ore (e per fortuna che avevano dichiarato che non erano in vendita...). Ma quella che doveva essere una semplice attività di compravendita si trasforma in una sorta di romanzo. Elon Musk,
anche se è miliardario, deve raccogliere i 44 miliardi di dollari (44 miliardi CHF) che ha offerto e lo fa vendendo una fetta importante delle sue azioni di Tesla. Il titolo risponde perdendo valore, cosa che di certo non fa piacere agli azionisti. Si stima che dall'annuncio dell'acquisto del social, Tesla abbia perso ben il 20%. Pochi giorni dopo, l'annuncio che Twitter bloccherà le assunzioni e taglierà gli effettivi dato che è necessario valutare la nuova strategia aziendale che potrebbe prevedere importanti cambiamenti, inclusa la riammissione dell'ex Presidente Donald Trump. Questo fa agitare i democratici che tentano di contestarne l'acquisto. Non sembrerebbe un caso che la Securities and Exchange Commission (Sec), che è l'autorità di vigilanza sulla borsa, apre un'inchiesta sulla compravendita. Ma quando tutto sembra essere fatto, ecco il nuovo colpo di scena. Venerdì 13 maggio Elon Musk annuncia che "l'accordo per Twitter è temporaneamente sospeso". La motivazione ufficiale è legata al fatto che la percentuale di profili falsi sulla piattaforma potrebbe essere molto superiore al 5% dichiarato dall'azienda. E questo è un tema sensibile per il nuovo proprietario. Noi non sappiamo quanti siano i profili falsi, ciò che è certo è che il multimiliardario con le sue dichiarazioni è in grado di modificare il valore azionario delle due aziende. E così il balletto è ripreso: Twitter crolla, Tesla vola. Alla fine di tutto questo tira e molla, quello che sarà interessante capire è di quanto è aumentato, ancora, il patrimonio di Elon Musk.
Patrimonio che sicuramente non è aumentato per i possessori di criptovalute, inclusi i Bitcoin creati nel 2009 e che ad oggi rimangono la più famosa moneta virtuale. Sottolineiamo virtuale, perché una moneta per essere considerata tale deve avere almeno tre caratteristiche: essere accettata generalmente come mezzo di pagamento, essere riconosciuta come unità di conto da uno Stato e rappresentare una riserva di valore (non oscillare né troppo né troppo in fretta). Il primo paese a introdurla e riconoscerla come moneta ufficiale è stato El Salvador nel mese di settembre dell’anno scorso. Ora si è aggiunto un altro paese: la Repubblica Centrafricana. La decisione presa dal parlamento di questa nazione pare essere l’ultimo tentativo disperato di migliorare la realtà di uno dei paesi più poveri al mondo. Come spesso accade nei paesi in via di sviluppo anche in questo caso la valuta ufficiale è soggetta a forti variazioni. Ciò non significa che però con le criptovalute andrà meglio. certo, un vantaggio c'è: riconoscere i Bitcoin consentirà di ridurre i costi di transizione dell’invio dei soldi dei migranti ai loro cari che vivono ancora nella Repubblica Centrafricana (rimesse). Nella realtà però non sappiamo quanti potranno trarne vantaggio. Nel paese solamente l’11% della popolazione ha accesso a Internet e il 14% all’elettricità. Certo è che questa settimana queste monete non hanno garantito grandi vantaggi, anzi. Abbiamo letto che le criptovalute hanno subito perdite importantissime legate principalmente all'andamento di TerraUSD. Questa nuova "moneta" ha unito le conoscenze matematiche a un software che crea una valuta digitale che si comporta alla stessa maniera del dollaro. Per questo rientra nella categoria delle "stablecoin", ossia le monete virtuali più stabili. Per qualche ragione ancora da ben comprendere, la moneta ha perso il suo ancoraggio al dollaro e il suo valore è crollato del 70%. Con lei ha trascinato tutto il settore delle criptovalute; tra queste il Bitcoin che ha perso il 2.6% ed Ethereum il 7.2%. Lo diciamo da sempre. La maggioranza di noi deve rassegnarsi all'idea che per guadagnare deve lavorare e non speculare sulle criptovalute.
E chi sicuramente ha lavorato tanto nella sua vita è Gottlieb Duttweiler, l'imprenditore illuminato che ha creato Migros. E proprio di "Migros: alcool sì, alcool no" parliamo questa settimana nel nostro articolo (LEGGI QUI) dove trattiamo un po' la storia meravigliosa della nascita di questa azienda, della sua capacità innovativa, del suo coraggio e dei suoi principi. E proprio nelle prossime settimane, i suoi 2,5 milioni di soci, decideranno sul principio di permettere la vendita di alcoolici nei suoi negozi. Questo è sicuramente un bell'esercizio di dialogo e democrazia: complimenti Migros!
*economista