di Mauro Dell'Ambrogio
Sarà anche questione di vicinanza culturale o, detto crudamente, di colore della pelle. Almeno due altre ragioni spiegano però l’atteggiamento dell’opinione pubblica - e di conseguenza delle autorità - per i rifugiati dall’Ucraina. Ben diverso da quello per chi proviene da Asia e Africa. Ragioni riconducibili entrambe a un nodo centrale della politica d’asilo: il timore di gran parte della popolazione che questa politica induca un’immigrazione al di là delle nostre capacità di integrazione. Il timore cioè di diventare attrattivi per tutti coloro che cercano condizioni di vita migliori, al punto da mettere in pericolo le nostre.
La prima ragione è che dall’Ucraina vengono donne e bambini, mentre gli uomini sono rimasti a combattere. Prova della volontà di dare un futuro al loro paese, ad ogni costo e comunque la guerra finisca. I giovani maschi, prevalenti negli altri flussi, sono invece percepiti come potenziale avanguardia di popolazioni. Magari vittime di soprusi e discriminazioni, ma in fuga definitiva da situazioni irrimediabili: per la permanenza dei conflitti, l’inesistenza di prospettive, l’esplosione demografica. Fattori che ci minacciano meno direttamente ma più profondamente della violenza di un despota russo, che tutti speriamo transitoria.
La seconda ragione è la disponibilità di tutta l’Europa ad accogliere. Si è più facilmente solidali quando la solidarietà è praticata anche dagli altri. Ben diversa situazione dallo scaricarsi l’un l’altro gli arrivi sui barconi, destinati a finire clandestinamente nei ghetti delle metropoli; generatori a loro volta di timori. La ripartizione concordata ha un effetto deterrente verso chi potrebbe fare a meno di partire, se non può scegliere dove finire. E la ripartizione geografica favorisce controllo e integrazione. Chissà che l’Europa non arrivi a riconoscere i vantaggi di una ripartizione in tutti i casi, come i cantoni svizzeri: invero solo trent’anni fa dopo tante discussioni.