*Di Amalia Mirante
La nostra informazione domenicale comincia con un uno sguardo dell'Economia con Amalia alla situazione internazionale. Ancora una volta, purtroppo, è il tema dei prezzi a farla da padrona, anche se con sfumature differenti. Da una parte abbiamo Stati Uniti e Gran Bretagna che nonostante abbiano registrato in agosto aumenti annuali dei prezzi consistenti, rispettivamente dell'8.3% e del 9.9%, mostrano tiepidi, ma incoraggianti segnali di rallentamento.
Lo stesso vale nei due paesi anche per l'indice dei prezzi alla produzione, che ricordiamo è il costo dei prodotti quando escono dalla 'fabbrica' senza considerare gli altri fattori che ne andranno a determinare il prezzo (costi di trasporto, di immagazzinamento,...). È molto probabile che la politica monetaria piuttosto repentina e rigida attuata abbiano iniziato a dare i frutti sperati. Cosa diversa rispetto a quanto fatto finora dall'Unione Europea che appare ancora una volta in ritardo e poco incisiva.
Gli aumenti dei tassi di interesse sono avvenuti molto più tardi e il disimpegno da parte dell'ente pubblico nell'acquisto di titoli statali stenta a partire. Non per niente l'inflazione ha registrato un nuovo record nell'Eurozona (+9.1%), come pure in Italia (+8.4%) e in Germania. Proprio poche ore fa il presidente della Bundesbank (la banca centrale tedesca), Johachim Nagel, ha dichiarato che l'inflazione potrebbe raggiungere un picco del 10% in dicembre e che quindi, in ogni caso, sarà necessario aumentare ancora in maniera importante i tassi di interesse. Innegabile che se questa sarà la direzione, le prospettive per l'economia tedesca non saranno positive: già ora si stima che nel solo mese di agosto i negozi e i centri commerciali abbiano registrato una riduzione del 30% della clientela.
Non a caso l'istituto di ricerche economiche di Monaco, IFO, ha già preannunciato che la Germania sarà in recessione a partire dall'inverno e che il Prodotto interno lordo (PIL) del 2023 potrebbe ridursi dello 0.3%. Sembra poco se non fosse che la Germania è da sempre la locomotiva europea e una sua stagnazione potrebbe avere ripercussioni sull'intero Vecchio Continente. Ma c'è chi si preoccupa ancora'più in grande'la Banca Mondiale qualche giorno fa ha lanciato l'allarme di una possibile recessione globale che andrebbe a colpire in maniera devastante le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo. Come purtroppo spesso accade quando ci sono crisi economiche anche in questo caso saranno i più deboli a
pagarne le conseguenze più grandi.
Tuttavia, il comunicato della Banca Mondiale non appare molto chiaro su possibili soluzioni. Da una parte evidenzia come sia assolutamente necessario frenare l'aumento dei prezzi facendo delle politiche monetarie restrittive, anche perché l'inflazione va a pesare maggiormente proprio sulle categorie più fragili e sui redditi più bassi.
D'altra parte riconosce che la maggioranza degli Stati ha le mani legate per quanto concerne le politiche fiscali legate all'aumento della spesa pubblica: anche in questo caso sono proprio le economie più deboli e con elevati debiti pubblici a rischiare maggiormente. Insomma, il rallentamento dell'economia con la perdita di posti di lavoro, la riduzione del potere d';acquisto e il peggioramento della situazione delle persone più vulnerabili sembra inevitabile. Ed è qui che pare essere un
po'debole la riflessione della Banca Mondiale: oltre a lanciare questo allarme, non sembra individuare grandi strategie al di là dell'invocare generiche politiche sia sul fronte della domanda che su quello dell'offerta.
Insomma, un po' poco per un'organizzazione internazionale chiamata a lottare contro la povertà e a occuparsi di
sostenere finanziariamente i paesi in difficoltà. Aiuto e sostegno che invece hanno deciso di dare Yvon Chouinard e la sua famiglia cedendo le azioni della loro azienda, Patagonia a un fondo specifico e a unaorganizzazione no-profit che si occupano di combattere il cambiamento climatico e salvaguardare l';ambiente. Patagonia è un'azienda specializzata in abbigliamento sportivo per l'esterno.
Da sempre ha mostrato sensibilità e rispetto per l'ambiente, ma anche per i suoi collaboratori e per i clienti. I suoi prodotti sono sempre stati riconosciuti di grande qualità e il suo modello di business non è mai stato quello di vendere il maggior numero possibile di capi ai clienti, quanto piuttosto quello di realizzare prodotti di qualità che sfruttassero appieno le risorse usate per crearli. Con questa donazione, i proprietari dell'azienda garantiscono che i profitti generati dall'azienda e non rinvestiti per garantirne l'attività, saranno devoluti alla causa ambientale.
Questo è sicuramente un bell'esempio di capitalismo sano, di come si possano fare impresa, affari e profitti generando benessere economico, sociale e ambientale. Ma non sono così pochi e isolati i casi di aziende e imprenditori che ben comprendono che il loro obiettivo è la sopravvivenza nel lungo periodo e che i profitti sono solo un mezzo, ma non il fine.
Notizia di poche ore fa è che la famiglia Della Valle ha donato alla Regione Marche un milione di euro per dare sostegno alle popolazioni colpite dall'alluvione. Ma non servono gesti eclatanti per fare 'economia sana' Tante sono le piccole e medie imprese, gli artigiani, gli imprenditori che rispettano quotidianamente i loro collaboratori, i loro
clienti e la società tutta.
E chiudiamo con il nostro articolo settimanale. In 'Il Prodotto Interno Lordo è cresciuto, anche se la SECO ha sbagliato' abbiamo commentato il dato dell'aumento del PIL in Svizzera nel II trimestre del 2022. Dal punto di vista economico non ci sono state grandi sorprese: il rallentamento dovuto alla maledetta guerra ancora in corso, all'inflazione e alla penuria di fonti energetiche ha iniziato a manifestarsi. La curiosità è stata che la Segreteria di Stato dell'economia (SECO) ha dovuto correggere il tasso di crescita perché per 'ragioni tecniche' i dati del settore delle attività ricreative erano sbagliati... e
non è la prima volta che anche la statistica sbaglia i calcoli...
*Economista