di Amalia Mirante*
La nostra informazione settimanale dell'Economia con Amalia oggi si dedica al tema
della concorrenza e del commercio e lo fa dando uno sguardo a quanto sta succedendo
negli Stati Uniti.
La Federal Trade Commission (Ftc), che è l'autorità di vigilanza per il rispetto delle leggi sulla concorrenza e sulla protezione dei consumatori, ha negato l'autorizzazione a Microsoft di comperare l'azienda produttrice e distributrice di videogiochi Activision Blizzard. L'offerta di acquisto fatta in gennaio è stata di 69 miliardi di dollari (circa 65 miliardi di franchi). Già la Commissione Europea aveva espresso preoccupazioni e dubbi qualche settimana fa. In particolare il timore è che Microsoft riesca a diventare la leader incontrastata nel settore: in termini di fatturato si situerebbe al terzo posto dietro Tencent e Sony, ma con grandi possibilità di crescita. Io non sono esperta di videogiochi, ma a molti di voi nomi come Call of Duty, Warcraft, Diablo, Overwatch e Candy Crush riesumeranno ricordi di ore passate davanti a uno schermo. Il rischio secondo le autorità è che Microsoft renda o questi videogiochi poco attrattivi togliendo di fatto un concorrente dal mercato oppure che li faccia diventare esclusiva della Xbox ampliando ancora maggiormente il potere di questa console. Le autorità non trascurano nemmeno i rischi legati al mondo nuovo che si cela nel Metaverso e che, anche se al momento sembra stentare a decollare, rimane uno degli affari più promettenti del futuro.
E ancora di Stati Uniti e di concorrenza parliamo nella prossima notizia. Qualche giorno fa il ministro dell'Economia tedesco Robert Habeck ha dichiarato il suo appoggio all'idea che anche i leader europei si muovano verso l'introduzione di sussidi e agevolazioni fiscali per la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie rispettose dell'ambiente. Nulla di nuovo se non fosse che in questo caso si parla di provvedimenti mirati a sostenere esclusivamente le aziende che utilizzano prodotti europei (buy european). In particolare,
alla Francia e alla Germania, non sono piaciute le implicazioni dell'Inflation Reduction Act (IRA) che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2023. Il programma americano prevede circa 370 miliardi di dollari (circa 345 miliardi di franchi) di investimenti pubblici nel campo del sostegno alle aziende che si occupano di energia pulita. La particolarità di questo piano è che le agevolazioni sono destinate esclusivamente ad aziende che usano prodotti statunitensi oppure che producono negli Stati Uniti. Senza troppi giri di parole è evidente che questo tipo di sussidio appare penalizzante per le aziende che non sono americane, diventando di fatto un aiuto di stato alle aziende nazionali e di conseguenza una violazione ai principi della concorrenza internazionale. Naturalmente la replica statunitense è già pronta e prevede addirittura due giustificazioni a questa violazione. Primo, gli USA potrebbero appellarsi all'impatto ambientale: se si produce tecnologia a impatto basso di CO2 sarebbe molto meglio utilizzare prodotti a impatto molto basso e quindi fabbricati direttamente in loco. Secondo, gli Stati Uniti potrebbero nuovamente tentare la via intrapresa dall'ex Presidente Donald Trump quando nel 2018 annunciò i dazi su acciaio e alluminio invocando l'eccezione a causa della sicurezza nazionale.
Ed è proprio notizia di poche ore fa che l'Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) ha stabilito che la clausola della sicurezza nazionale invocata allora non era valida. Tutti noi ci aspetteremmo ora che gli Stati Uniti che si dichiarano i difensori e paladini delle libertà a cominciare da quelle commerciali, accettino la sentenza e rimuovano i dazi. Non proprio. L'amministrazione Biden ha condannato la decisione del Wto e ha ribadito che questo organo non ha assolutamente la facoltà di esaminare questioni che riguardano la sicurezza nazionale. Anzi, gli Stati Uniti hanno rincarato la dose dicendo che proprio sentenze come queste mostrano l'inadeguatezza di questo organismo e la necessità di una sua riforma radicale. Ricordiamo che nel 2018 l'allora presidente Donald Trump aveva imposto dazi sui metalli provenienti dalla Cina, dalla Norvegia, dalla Svizzera e dalla Turchia. Iniziava così la guerra commerciale contro la Cina e si interrompeva il periodo un po'mitizzato della liberalizzazione degli scambi commerciali. La Cina non rimase a guardare e a sua volta impose dazi su beni e servizi americani. Questo approccio andò avanti anche dopo l'elezione di Joe Biden che non mise in discussione le misure introdotte a protezione delle industrie nazionali. Da un punto di vista economico oggi nessuno mette più in dubbio i benefici del commercio, anche se a nostro modo di vedere la priorità va sempre data alla salvaguardia degli interessi nazionali. In questo caso ci sono settori strategici (pensiamo all'energia, alla difesa, alla comunicazione, all'agricoltura,...) che non possono essere in nessun caso delegati ad altri. E che dire dei settori, come quello dell'alluminio e dell'acciaio per gli Stati Uniti che arrischiavano di essere messi in ginocchio dalla concorrenza cinese? A noi la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro nazionali non pare tanto folle; quello che ci sembra poco coerente è inneggiare al libero mercato quando va nella direzione a noi più favorevole e poi al contrario applicare misure protezioniste quando ci conviene.
E di "convenienza" possiamo parlare nel nostro articolo settimanale "Quanto vale fare la
mamma o il papà?". L'ufficio federale di statistica anche quest'anno ha calcolato il
numero di ore di lavoro retribuito e non retribuito prestato dalle economie domestiche. I
dati sono come sempre impressionanti. Mediamente ogni persona sopra i 15 anni ha svolto in un anno 1350 ore di lavoro non retribuito. Le attività che ci hanno occupati maggiormente sono stati i lavori domestici (circa il 73%), seguiti da quelli di cura e
di assistenza (20%) e da un 8% di volontariato. Gli statistici vanno oltre e quantificano il
valore di queste ore supponendo di dover pagare qualcuno per svolgere queste mansioni.
Noi invece andiamo controcorrente e riteniamo che non ci sia nemmeno lontanamente la
possibilità di paragonare il lavoro, per quanto amorevole e professionale di un educatore
o un'educatrice, con quello di mamma, papà o dei nonni. Quindi non ce ne voglia, ma noi a questa statistica preferiamo il mantenimento della gratuità che rende le relazioni umane, relazioni umane.